Il Prof. Marino Maglietta, membro gruppo di lavoro Linee guida Tribunale di Brindisi: la riforma dell'affidamento condiviso tra gli equivoci di opposte ideologie
La riscrittura in corso delle norme
sull'affidamento condiviso ha provocato vivacissime reazioni, di opposto segno,
prevalentemente non centrate per il frequente affidarsi agli enunciati,
prescindendo dall'esame dell'articolato
di Marino Maglietta
Nel 2006 è stata
introdotta in Italia una legge che prevede la parità dei ruoli
genitoriali quale diritto indisponibile dei figli a rapporti
simmetrici con i due genitori nel riceverne cura, educazione e istruzione.
Quanto al mantenimento, per ammissione della stessa dottrina, la forma diretta
è quella di legge, mentre l'assegno può essere disposto solo in via residuale,
quando indispensabile per consentire a ciascun genitore di fare la sua parte
nei confronti dei figli anche quando le differenze di risorse sono forti.
Questa "novità" venne pressoché unanimemente salutata come atto
dovuto e di grande civiltà. Dovuto, perché questa legge è stata scritta in
ossequio ai principi introdotti nel 1948 dalla Costituzione all'articolo
30, che qui si rammenta: " E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire
ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio." Difficile vedere
in questa formulazione e nella sua filosofia traccia di collocatari, assegni o
diritti di visita. Dunque pare a chi scrive del tutto naturale che nel 2006 non
ci sia stata alcuna sollevazione, nessuna indignazione e che nessuno abbia
considerato la legge 54 effetto di un complotto, di una cospirazione di
oscure forze maschiliste. Forse anche perché sarebbe stato ridicola una
tesi del genere contro una riforma a favore della quale l'Associazione Donne
Separate (ADS, nata ad Agrigento nel 1996) era scesa per le strade raccogliendo
- con i mezzi di comunicazione di allora - più di 10.000 firme.
Perché,
dunque, le velenose, rissose e distorte polemiche attuali?
Un fondamento ci deve
essere. E non è difficile trovarlo: è il modo in cui il ddl 735 è statoformulato e
presentato, ossia aspetti sostanziali dei diritti dei figli e delle madri e la
scarsa, se non nulla, attenzione dedicata all'associazionismo femminile e alle
sue legittime richieste, per circondarsi di supporters esclusivamente al
maschile.
Tuttavia, curiosamente,
se essere scettici e critici, anche fortemente, nei confronti del disegno di
legge è sicuramente più che ragionevole, gli argomenti utilizzati dai suoi
attuali oppositori non sembrano cogliere nel segno. Probabilmente perché ci si
è attenuti ai proclami della sua presentazione - spesso fraintendendone il
significato e le ricadute applicative - senza impegnarsi in una certamente più
faticosa analisi dell'articolato. I redattori, infatti, non potevano essere più
maldestri nel mettere accanto agli obiettivi di fondo corretti e sostenibili
ripetutamente dichiarati nelle sedi ufficiali, affermazioni e rivendicazioni
più che discutibili, contraddittorie e a senso unico. Appare quindi opportuno a
chi scrive delineare una obiettiva analisi delle "nuove" norme,
facendo
seguire ad essa quella
che potrebbe essere una via che con ben più elevata probabilità di successo
condurrebbe alla corretta applicazione di una legge dello stato come la
54/2006, accompagnata dai necessari corollari che nel tempo sono apparsi necessari.
Per quanto riguarda gli
aspetti sostanziali, il peccato capitale del ddl 735 è che dilata a dismisura
il potere discrezionale dei giudici, fallendo proprio in quello che da alcuni
viene considerato il merito principale, presso i quali gli fa conseguire
incondizionato plauso e sostegno: quella pretesa rigida pariteticità dei tempi
di frequentazione nella quale altri vedono la ripicca di adulti orgogliosi a
danno del diritto dei figli a gestirsi liberamente. Due credenze entrambe
false. In realtà il giudice può stabilire tempi uguali, ma anche
"equipollenti", ossia equivalenti secondo imprevedibili criteri qualitativi
che sarà il giudice a stabilire; alla pariteticità si può derogare per accordo
dei genitori, anche quando perfettamente possibile e se nessuno la chiede il
giudice può limitare la presenza di uno dei genitori a 12 giorni al mese, ma
anche questa quantificazione è derogabile in forza di parametri di valutazione
non giuridici e del tutto opinabili, come la "trascuratezza",
l'"indisponibilità", il "danno psico psico-fisico", ecc.. E
si conservano concetti come la "residenza abituale",
correntemente utilizzati come il domicilio del genitore collocatario, né si
permette al figlio di prendere la parola se il giudice lo considera superfluo.
Non diversamente, si
sostiene di avere assicurato al figlio la partecipazione di entrambi i genitori
alla sua quotidianità (l'obbligo di "cura" di cui al primo comma
dell'art. 337-ter c.c.) grazie all'assunzione di capitoli di spesa in luogo
della delega a provvedere che un genitore
affida all'altro, limitandosi a far trasferire denaro da un conto
corrente all'altro. Ma questo non è affatto sicuro. Far
decidere al giudice quali spese sono ordinarie e quali straordinarie significa,
in forza delle linee-guida del CNF (2017), fargli decidere cosa è compreso
nell'assegno e cosa ne resta fuori. Quindi l'assegno può benissimo restare. Di
segno opposto un'altra preoccupazione. Qualcuno dice che se ai bisogni dei
figli si provvede direttamente senza bisogno di assegni per i figli
che di solito sono percepiti dalla madre collocataria, questa finisce
personalmente sul lastrico, muore di fame. Come accusare le donne di distrarre
abitualmente a proprio vantaggio risorse a loro non destinate. Irricevibile.
Naturalmente questa
estrema variabilità, rimessa al magistrato, potrebbe essere apprezzata dai
sostenitori delle decisioni "caso per caso"; il vestito tagliato su
misura. Ma è facilmente dimostrabile che l'argomento non è che una colossale
mistificazione. I provvedimenti ricalcano cliché del tutto standardizzati,
certificati dai prestampati distribuiti nelle cancellerie e/o presenti nel pc
di chi confeziona il provvedimento, come è esperienza di chiunque frequenti i
tribunali. Tutto deve avvenire seguendo un rigido cerimoniale: il genitore
collocatario resterà nella casa familiare (nessuno si chiede se ai
figli quel luogo è divenuto odioso) e riceverà un assegno (ogni corte ha la sua
stretta "forchetta") e l'altro eserciterà il suo "diritto di
visita" con irrisoria variabilità. Questo sarebbe il "caso per caso"
tanto gradito al sistema legale.
Ci si deve, dunque,
rassegnare a perdere un'occasione di cambiamento così rara e invitante? No, le
alternative esistono e sono rappresentate dal ddl 782, identico alla
pdl 942, depositati ma non ancora pubblicati, e in gran parte coincidente
con il ddl 768 già all'esame della Commissione Giustizia, che propongono un
modello sensibilmente diverso, benché tutti mirati al rigoroso rispetto dei
principi dell'affidamento condiviso. Ne dà una chiara idea anche una
ridottissima sintesi. Dunque:
- il modello non è
rigido, ma flessibile. Se due genitori sono idonei avranno in sentenza pari
diritti e doveri e la previsione di una pari frequentazione dei figli (senza
deroghe), ma questo non servirà ad imporre rigidamente al figlio di trascorrere
tempi uguali, ma gli permetterà di trattenersi liberamente dove a lui più utile
(v. Linee-guida di Brindisi). Nessun problema se alla fine di un certo anno si
constaterà che il figlio è stato 7 mesi presso
la madre e 5 presso il padre: poteva essere il contrario; l'anno seguente forse
lo sarà. Insomma, equilibrio dinamico, "statistico"
- il genitore senza
risorse che deve lasciare la casa familiare ha diritto ad essere
aiutato dall'altro nella soluzione del problema abitativo
- la ragazza madre ha
diritto ad essere aiutata economicamente dal padre sia in gravidanza che nei
primi mesi dopo il parto, anche se il figlio nasce morto
- se un genitore è tenuto
al mantenimento di due o più figli il suo contributo deve essere stabilito in
modo da non mettere nessuno di essi in condizioni più favorevoli degli altri,
in particolare se appartengono a famiglie diverse
- non si censura solo
l'alienazione genitoriale, ma ogni tipo di violenza domestica, specie se
assistita
- gli sconfinamenti del
d.lgs 154/2013 vengono sistematicamente eliminati, evitando che sopravvivano
modifiche legislative - oltre tutto pessime - introdotte di soppiatto, senza
delega
- il giudice non può non
sentire il figlio se questi lo chiede (in qualsiasi forma, anche una mail,
soluzione già adottata, ad es., presso il tribunale di Pistoia)
- il potere discrezionale
dei giudici viene drasticamente ridotto: ogni volta che si nomina l'opinabile
"l'interesse del minore" si fa riferimento anche al suo diritto
alla bigenitorialità, che non può essere scavalcato.
Non resta che augurarsi che
su un tema "etico" come la tutela dei figli minorenni nel momento
della crisi familiare si abbandonino i rigidi vincoli che qualche gruppo
politico si è dato, nel comprensibile desiderio di avere regole che moralizzino
il comportamento degli eletti, lasciando, viceversa, a ciascuno libertà di
sensibilità e di coscienza.
MF
FONTE ARTICOLO: https://www.studiocataldi.it/articoli/31844-la-riforma-dell-affidamento-condiviso-tra-gli-equivoci-di-opposte-ideologie.asp
DATA PUBBLICAZIONE: 17 SETTEMBRE 2018


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