Marino Maglietta, membro gruppo di lavoro Linee guida Tribunale di Brindisi: Il diritto di famiglia e la nostalgia del modello monogenitoriale
Un nuovo intervento
della Suprema Corte (Cass. 31902/2018) conferma le simpatie di buona parte del
sistema legale per il vecchio regime di affidamento
di
Marino Maglietta
Facendo riferimento e
confermando un proprio precedente intervento, la Cassazione (ordinanza
n. 31902/2018) documenta convincentemente che il sistema legale,
soprattutto ai più alti livelli, non ha ancora accolto la riforma del 2006 e le
sue chiare indicazioni a favore di una applicazione fedele dei principi di cui
all'art. 30 della Costituzione.
Si fa notare, anzitutto,
l'aspetto sostanziale della scelta, che è quella di respingere la richiesta di
un genitore di essere maggiormente presente e partecipe della crescita e
dell'educazione della figlia, di per sé sempre auspicabile e da premiare. A
maggior ragione, visto che si sostiene frequentemente l'inopportunità di
disporre affidamenti di pari impegno a padri e madri per la carenza di
candidature di genere maschile. Un diniego aggravato dalla circostanza che
l'intervento contestato, aveva addirittura contratto il numero di pernottamenti
precedentemente fissati.
Occorre riconoscere,
tuttavia, che anche la richiesta non era supportata da motivazioni e premesse
ineccepibili. Il ricorso, infatti, presenta quale primo motivo "non
avere individuato il genitore più idoneo a curare l'interesse della figlia".
Una contestazione che evidentemente appartiene alla filosofia dell'affidamento
esclusivo e nulla ha a che vedere con i fondamenti della bigenitorialità. Uno
spunto iniziale, dunque, che indebolisce fortemente la successiva nota critica,
che invoca la "violazione del principio di parità tra i genitori".
Si direbbe, dunque, che i fondamenti della riforma del 2006 siano poco chiari
anche a chi contesta le decisioni del merito su quei medesimi principi.
Purtroppo, nemmeno la
Suprema Corte dimostra di ben aderire alle circostanze sulle quali si fonda
l'affidamento condiviso in alternativa all'affidamento esclusivo a uno solo dei
genitori o all'affidamento ai Servizi Sociali.
Fornisce, difatti, subito
in partenza una sua definizione della bigenitorialità che non può non
lasciare perplessi: "il principio di bigenitorialità si traduce nel
diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella
vita del figlio".
La prima osservazione - di
non piccolo rilievo - è che così procedendo intesta il diritto in capo ai
genitori e non ai figli, esattamente capovolgendo sia lo spirito che la lettera
della norma (art. 337-ter, comma I c.c.). Erra d'altra parte, così facendo,
anche nella misura, sia perché il diritto indisponibile della prole attiene sia
alla quantità che ai contenuti della citata "presenza" dei genitori.
La misura non è "significativa", ma "equilibrata e
continuativa"; ovvero alla definizione del legame dell'avente diritto con
i genitori è stato sostituito quello
con gli ascendenti e gli altri parenti, declassando i primi. Inoltre, viene
ignorata completamente la seconda parte del diritto, ovvero quello a ricevere
"cura", e non semplicemente e riduttivamente "mantenimento
economico", da ciascuno dei genitori. Il che porta ad esaminare la serie
di argomentazioni con le quali si sostiene l'inesistenza di un diritto alla
"parità" dei tempi della frequentazione.
Un diniego che chi scrive
considera ragionevole verso chi pretendesse la parità sempre e comunque, ma non
altrettanto ove si assumesse la necessità sempre e comunque dell'opposto,
ovvero di un "genitore collocatario": che è appunto ciò che la Cassazione
più o meno velatamente si propone di fare. Il riferimento alla precedente
decisione appare rivelatore. Il "giudizio prognostico che il giudice,
nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le
capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione"
a null'altro assomiglia che alla ricerca del genitore più idoneo ad essere
l'affidatario, come si usava prima della riforma del 2006. Non a caso, "va
formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i
genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti ... fermo restando, in
ogni caso, il rispetto del
principio della
bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita
del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde
relazioni affettive con entrambi,"(Cass. n. 18817 del 23/09/2015). Dove è evidente che la stabilità
non è intesa come regolarità di abitudini, ma come netta prevalenza di un
contesto abitativo e di un maggior potere decisionale di un genitore rispetto
all'altro.
Pertanto, se un modello di
approccio può, sommessamente, suggerirsi al sistema legale è quello di porre i
genitori in condizioni assolutamente paritetiche sotto il profilo
giuridico-formale, quale necessaria condizione di partenza per assicurare ai
figli pari opportunità al fine di ricevere, anche asimmetricamente, dall'uno e
dall'altra ciò che ad essi maggiormente serve in quel momento, in una sorta di
equilibrio statistico, mediamente bilanciato E sempre compatibilmente con le
oggettive circostanze di fatto, ma non in dipendenza di opinabili convinzioni
pseudo-sociologiche.
Si osserva, viceversa, una
visione chiaramente adultocentrica, come dimostra il modo di gestire la parte
economica nella pressoché totale giurisprudenza, sistematicamente ancorata alla
forma indiretta, a dispetto delle prescrizioni di legge, che privilegiano
il mantenimento diretto. In effetti
sul punto nulla può essere rimproverato alla Suprema Corte nel caso in esame,
poiché la stessa parte ricorrente aveva limitato i propri rilievi alla misura e
non alla forma del contributo (anche se realmente 800 € mensili sono cifra
adeguata per uno studente universitario fuori sede, non per mantenere una
bimbetta).
Una omissione che dimostra
ulteriormente quanto sia estesa per la legge 54/2006 la scarsa comprensione
soprattutto delle norme sul mantenimento, a dispetto dei numerosi e concordi
interventi della dottrina (ex pluris, C.M. Bianca, T. Auletta, B. De
Filippis, M.Sesta, L. Rossi Carleo e C. Caricato, E. Quadri, G. Frezza, G.
Giacobbe, A. Morace-Pinelli, G. Ballarani, A. Arceri, A. Costanzo etc.). E
soprattutto manca la capacità di riconoscere alla forma del mantenimento la sua
immensa valenza relazionale, sulla quale qui non insiste, rimandando, ad es.,
alle linee guida del tribunale di Brindisi, una delle poche eccezioni. Preme,
tuttavia evidenziare una delle principali distorsioni interpretative, legata
alla presunta necessità di ancorare il mantenimento diretto alla
vicinanza geografica dei genitori, dimenticando che ai capitoli di spesa non
legati alla convivenza (dall'affitto della casa alle spese per l'istruzione,
dai mezzi di trasporto alle attività ricreative e sportive e perfino
all'abbigliamento) si può benissimo provvedere anche dal Canada, visto che
comunque dei contatti continuano ad esserci, anche se concentrati in
determinati periodi dell'anno. Anzi, proprio nel caso di genitori che abitano a
grandi distanze appare decisamente consigliabile che il soddisfacimento dei
bisogni non quotidiani sia attribuito al genitore che è forzatamente escluso
dalla quotidianità.
Allo stesso modo se, come
nel caso presente, si ricorre all'affidamento ai Servizi Sociali per limitare
contatti tra i genitori che possano essere fonte di conflitto, visto che
necessariamente in questi casi c'è un collocamento prevalente presso uno dei
due, ci si dovrebbe rammentare che si crea il terreno più fertile perché
abbiano effetto sul bambino quelle sottili manipolazioni che inducono in lui
una crescente distanza affettiva, fino al rifiuto.
Dovrebbero, quindi, essere
incentivate, se non prescritte, tutte quelle forme di contatto oggi
disponibili, come Skype e WhatsApp,
che mantengano vivo il rapporto. Tutto questo quando il danno non si sia già
manifestato: nel qual caso indubbiamente l'esempio da seguire sarebbe quello
fornito recentemente dal tribunale di Brescia (ord. 19 novembre 2018), ovvero
togliere drasticamente potere al genitore alienante.
MF
FONTE ARTICOLO: https://www.studiocataldi.it/articoli/32891-il-diritto-di-famiglia-e-la-nostalgia-del-modello-monogenitoriale.asp
DATA PUBBLICAZIONE: 14 DICEMBRE 2018


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