Marino Maglietta, componente gruppo di lavoro Linee guida Tribunale di Brindisi e Barbara Spaccapietra, affido condiviso: prime verifiche sul campo del ddl Pillon
Richieste esplicitamente ispirate al modello
del ddl 735, rivolte al TO di Trieste, sembrano rivelarne incoerenze e limiti
di natura sia concettuale che pratica
di Marino Maglietta e
Barbara Spaccapietra*
*Psicologa e Pedagogista, referente Associazione Nazionale Donne Separate (ANDOS)
E' uscito in settembre un
decreto del TO di Trieste (5.9.2018) che si è meritatamente segnalato per avere
confermato virtuosi precedenti giurisprudenziali (a partire dalla storica
sentenza del TO di Roma dell'11.3.2016) di rottura con le prevalenti decisioni
in materia di gestione di figli in tenerissima età. In sintesi, il tribunale ha
consentito che un bimbo di circa 2 anni iniziasse a pernottare presso il padre,
prevedendo di arrivare a 3 pernottamenti alla settimana dopo il compimento dei
tre anni, a dispetto della decisa opposizione materna e della forte
conflittualità interna alla coppia.
Forse, tuttavia,
l'aspetto più interessante può essere visto nel fatto che per la prima volta
è stato sperimentato
nel contesto triestino l'approccio del ddl 735 e le sue possibilità di essere
sviluppato in lucide e coerenti richieste.
Una coppia non coniugata
va in giudizio per l'affidamento di un bimbo nato nel gennaio 2017. La madre,
parte attrice, dando per scontata la collocazione prevalente presso di sé,
propone per il padre contatti di 3 ore 2 volte a settimana più 6 ore o il
sabato o la domenica. Si dichiara anche, inevitabilmente, disposta ad
ampliamenti successivi, non quantificati, e "nel rispetto sempre delle
esigenze di stabilità e serenità del minore con introduzione graduale dei
pernotti dopo i tre anni."
Il padre - che segnala di
non poter tenere il figlio nei w-e per esigenze di lavoro - propone un
affidamento che definisce testualmente "materialmente condiviso",
con il quale rivendica con apparente fermezza la pariteticità dei tempi ("il
minore sia affidato ad entrambi i genitori con collocamento alternato presso
entrambi") introducendo però subito una deroga su basi non
documentabili, ma rimesse a valutazioni del tutto soggettive del consulente:
" salvo che la CTU evidenzi
che l'affido alternato ad entrambi i genitori non corrisponde all'interesse del
minore". Una espressione che mette in dubbio le basi stesse del
modello al quale dovrebbe ispirarsi ogni decisione in forza di un affidamento
"materialmente condiviso". In aggiunta, alla tesi seguono subordinate
ancora più destabilizzanti. Ci si accontenta, infatti, di 4 pernottamenti
contro 10 su 2 settimane, precisando "e in ogni caso per un
tempo non inferiore a un terzo del tempo totale ed orientata a modelli
paritetici di affidamento in linea con il corpus teorico di riferimento in
ambito psicoforense relativo a questa tematica". Dove oltre
tutto è difficile considerare rispettato "l'orientamento" verso la
pariteticità se si è disposti a scendere a 1/3 del tempo rispetto a 2/3. E
ulteriori perplessità desta il prosieguo, che rimette alla totale discrezione
del TO l'introduzione del regime alternato, che comunque viene prospettato a
tempi lentissimi: "una notte nel mese di luglio, due notti in quello di
agosto, tre notti in settembre eventualmente quattro in ottobre".
Dove la media diventa di un pernottamento contro 13 nell'arco di due settimane.
Senza specificare come e quando si arriverà a quindici.
Ma le sorprese non sono
finite. Terminato l'elenco delle più varie richieste si riprende irritualmente
l'argomento frequentazione con una nuova subordinata, di non chiara
compatibilità con quanto prima affermato visto che, esclusa la teorica ipotesi
iniziale di pariteticità, tutti gli schemi sono a prevalenza materna: "qualora
venga mantenuta la collocazione prevalente presso la madre disporre almeno un
pernotto settimanale nella giornata di mercoledì sera fino al giovedì mattina
alle 10, da implementare a partire da agosto a due pernotti dal martedì al
giovedì mattina." Per cui la rinuncia al modello a cui si è dichiarato
di ispirarsi, senza genitore collocatario, all'atto pratico comporterebbe un
aumento - e non una diminuzione - dei pernottamenti, che passerebbero in agosto
da 1-2 al mese a 1-2 alla settimana. E in effetti, fortunatamente per il caso
in esame, il tribunale pur innovando nelle misure rispetto alla prassi più
comune ignora il modello "materialmente condiviso"
|
e opta per una più rapida
apertura verso la bigenitorialità.
Il parere di chi scrive,
a commento di questa bizzarra e insolita vicenda, si discosta sia dal
ragionamento del richiedente che dalla decisione del tribunale; quanto meno, in
via generale, dalle relative impostazioni. La "gradualità"
nell'introduzione del pernottamento si basa su ipotesi nella maggior parte dei
casi non realistiche. Si afferma quasi sempre che il bambino "deve
abituarsi" alla presenza del padre: come se fosse stato partorito per
partenogenesi. In realtà, quasi sempre il momento della rottura è
preceduto da un periodo di convivenza dei genitori, che stanno insieme
presso il bambino. Questi, quindi, dalla nascita e fino a un anno o due sta
anche con il padre, il quale - pressoché come tutti i padri del terzo millennio
- si fa ben conoscere dal figlio, svolgendo da subito significativi compiti di
cura, che è superfluo elencare, prescindendo dal solo allattamento. E che non
di rado si alza anche la notte quando il bimbo piange. Dopo di che, intervenuta
la rottura del legame di coppia, si sopprime radicalmente e totalmente questa
presenza anche notturna, creando una brusca discontinuità, per superare la
quale si afferma di dover "procedere gradualmente", e solo a partire
dalla fatidica soglia dei 3 anni o 3 e mezzo. Ovvero si sottopone il bambino a
una doppia, inutile, stressante e gratuita traumatizzazione. Buonsenso
vorrebbe che non si creasse alcuna discontinuità: così non ci sarebbe il
problema di superarla. La gradualità ha quindi senso, una volta che il
figlio sia stato svezzato, solo
nel caso di coppie che non hanno mai convissuto. Casi non certo quotidiani.
Tornando al ddl 735,
occorrerebbe che alle condivisibili tesi della pari dignità dei genitori e
dell'accesso ad essi, ovunque concretamente attuabile - senza sconti o
"paracadute" a un terzo del tempo - non si affiancassero elenchi di
deroghe e sottocasi, rischiosissimi non tanto per il loro numero, quanto per
l'opinabilità del loro contenuto, che rimette continuamente tutto in
discussione, negando ciò che ha appena affermato, e non per inoppugnabili
difficoltà operative, ma per imprevedibili e soggettive valutazioni di qualche
operatore, giudice o consulente che sia. Attenersi al modello
"materialmente condiviso", con il suo strutturale e
sistematico rimettersi a opinioni e/o comportamenti di adulti (gli esperti e i
genitori stessi) lascia i figli, titolari di diritti indisponibili, in
balìa della casualità. Come si è puntualmente verificato nella vicenda di
Trieste, finita bene per caso, a dispetto della buona volontà e dell'impegno
dei proponenti, comunque apprezzabili.
Compito del legislatore è
dare all'interprete indicazioni univoche, brevi e chiare, che diano certezza ai
diritti, evitando che una selva di parametri soggettivi (nello specifico del
ddl 735 "equipollenza", trascuratezza",
"inadeguatezza", "indisponibilità", "difficoltà"
e simili) possano costituire un eccellente salvacondotto che permette di far
valere senza rischi la propria personalissima ideologia, arrivando perfino a
capovolgere la ratio legis; il motivo per cui si sta tentando per
l'ennesima volta di riscrivere le norme sull'affidamento condiviso.
FONTE ARTICOLO: https://www.studiocataldi.it/articoli/33350-affido-condiviso-prime-verifiche-sul-campo-del-ddl-pillon.asp
DATA PUBBLICAZIONE: 28 GENNAIO 2019


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